Un’aura di eternità
Lo straordinario attore Matthew Perry descrive, come segue, il suo debutto in Friends, uno dei telefilm più famosi e ammirati al mondo, avvolto da un’aura di eternità:
Era così speciale che sembrava avessimo tutti condiviso una vita precedente, o qualcosa del genere. O una vita futura pure, ma di certo questa. Era un giorno reale. Ma un giorno che aveva la sostanza dei sogni. […] Poi fu l’ora di leggere. Come sarebbe andata? La chimica che avevamo appena cominciato a creare si sarebbe manifestata, o eravamo solo giovani speranzosi che cercavano di far credere che sarebbe stata la nostra grande occasione? Non dovevamo preoccuparci – eravamo pronti. L’universo era pronto. Eravamo dei professionisti – il copione fluiva dalle nostre bocche. Nessuno sbagliò neanche una volta. Tutte le battute andarono a segno. Finimmo in un applauso scrosciante. […] Dopo la lettura, noi sei fummo infilati in un furgone e portati sul vero set, al palco 24, per cominciare le prove. Ma tutto ciò che accadde fino alla fine del giorno spazzò via ogni dubbio residuo – le battute, la chimica, la sceneggiatura, la regia, tutto fu magico. Ogni elemento sembrava fondersi con gli altri in un’unità spassosa, efficace, potente. E tutti ne eravamo consapevoli. Questo programma avrebbe funzionato, e avrebbe cambiato la vita di ciascuno di noi per sempre. Giuro che era possibile avvertire un suono scoppiettante; se ascoltavi con molta attenzione, potevi sentirlo. Era il suono dei sogni delle persone che si avverano. […] Ci dedicammo alle prove per il resto della settimana e fu allora che cominciammo a notare un’altra cosa – facevo l’attore dal 1985 e non mi era mai successo prima, – ed era bellissima: i capi non erano minimamente tirannici, anzi, c’era un’atmosfera veramente creativa. Potevamo proporre le battute, e la migliore vinceva, non importava da chi provenisse. La signora del servizio catering diceva una cosa divertente? La usavamo, non aveva importanza. Perciò, non solo ero lì in qualità d’attore, ma anche le mie risorse creative venivano sollecitate.
L’atmosfera di democratica condivisione e l’intento d’amore
Ebbene, questa sensazione che Perry descrive è esattamente quello che ho tentato più e più volte di creare nei miei lavori con gli attori e i collaboratori coinvolti. Molto spesso ci riuscivo. Riuscivo a creare con metodo e intuito un’atmosfera di democratica condivisione delle intuizioni. Il filo conduttore c’era e il testo anche. Come è ovvio che sia in una produzione teatrale che prevede che alla guida del timone ci sia il regista e non un collettivo artistico. Ma tutto è sempre fluito nel massimo rispetto delle proposte e delle intuizioni degli attori e dei collaboratori.
Forse, leggendo questo articolo, sentirete un po’ di rammarico nelle mie parole. Ed è probabile che abbiate ragione.
Ammirando immensamente il coraggio di Matthew Perry nel raccontarsi, nello sviscerare le parti più oscure di sé, legate al suo travagliato passato, con grande sensibilità e rispetto della sua Anima, ho deciso di scrivere un articolo che ufficializzasse il mio momentaneo e forse definitivo allontanamento dal mondo del teatro.
Torniamo all’atmosfera di lavoro appena accennata.
Per diversi anni e con vari gruppi di collaboratori, ho cercato di creare un’atmosfera e delle occasioni di lavoro che fossero allineate al messaggio profondo che desideravo comunicare.
Sceglievo gli attori guidata dalla calma e dall’intuito, approfondendo le loro radici e motivazioni artistiche. Questo “metodo” mi occorreva per creare un gruppo saldo, sensibile e chimicamente compatibile, non solo tecnicamente. L’obiettivo? Non ne ho idea. Sentivo di dover creare una sorta di “famiglia artistica” con cui costruire messaggi d’amore da donare agli spettatori e ai collaboratori stessi. Non è un caso che il motto di Linee Libere sia il seguente:
Il Teatro per noi rappresenta un mezzo per ricercare un punto di contatto sincero con gli esseri umani, un modo per entrare nel flusso vitale che ci tiene agganciati alla nostra esistenza. L’esigenza è creare un dialogo con ogni componente del singolo progetto artistico (sia esso attore, collaboratore o spettatore), alla ricerca di uno scambio reale e necessario per entrambe le parti.
Alla lettura di questo inciso, sento già sbuffare il mio caro e a tratti cinico Prof di filosofia del liceo… ma Prof, le giuro, che se non ci fossero queste basi, se non ci fosse un obiettivo reale che va oltre l’esigenza di lavorare, oltre l’ego del singolo elemento coinvolto, tutto si sfascerebbe, si romperebbe in mille pezzi e non avrebbe futuro, né nella realtà, né nei ricordi degli spettatori che hanno assistito alla replica.
Lo spettacolo non è unicamente un’andata in scena, alla fine della quale, il lavoratore viene pagato e chi s’è visto s’è visto. Il nostro compito, come operatori culturali, è aiutare le persone coinvolte – siano esse spettatori, registi, attori o collaboratori – ad ampliare le loro coscienze.
Chiunque abbia assistito a un mio spettacolo, in particolare negli ultimi anni, sa di essere rimasto incollato per un’ora e mezza, senza sapere il perché. Neanche io lo sapevo, in realtà. L’ho capito, nel tempo, dai commenti degli spettatori.
Solo dopo l’ultima replica di Passaggi, fatta a Favignana durante l’estenuante ISTA-NG, mi sono resa conto del perché.
È una questione di vibrazione….
Adesso che studio spiritualità capisco che dietro ai miei lavori c’è sempre stato un intento d’amore molto forte. E la modalità con la quale erano creati, il processo creativo e compositivo degli stessi con gli attori ed i collaboratori, rispecchiava questo intento. Il risultato era un lavoro che vibrava a determinate frequenze d’amore che lo spettatore percepiva inconsapevolmente. Quindi, al di là del suo gusto, della sua opinione politica o sociale, al di là del suo umore di quel giorno o della simpatia o antipatia nei confronti dell’attore o del regista, rimaneva incollato allo spettacolo, senza poterlo controllare.
La magia di cui parla Perry sta proprio qui…
Mentre gli artisti creano delle opere d’arte non sono consapevoli di quello che rappresenteranno per il pubblico. Sta di fatto che ci sono dei lavori che vibrano a determinate frequenze d’Amore che rimangono impressi nelle loro memorie eternamente. Come Friends. E delle opere che si scollano dal loro Essere prima ancora che siano finite perché vibrano unicamente alle frequenze dell’Ego. E sono le opere che, sul piano materiale, definiamo virtuosistiche, fredde o prive di qualsiasi forma di interesse o contenuto.
Attenzione però: parlo delle valutazioni che vengono dal cuore e non dalla mente che può etichettare tranquillamente un’opera poco amorosa come interessante o avvincente solo perché rispecchia determinati canoni della moda del momento.
Come spiega lo studioso Fausto Carotenuto nel suo corso sull’arte: se l’Anima e il cuore stanno bene nel vedere un’opera d’arte allora si tratta di un’opera creata con un intento d’amore.
Per un artista provare all’interno di un lavoro le sensazioni di unità, collaborazione, perfetta intersezioni dei talenti coinvolti e delle sincronicità, è impagabile. È un momento di amore così elevato, perfettamente orchestrato dall’universo, che non c’è bisogno di aggiungere altro. Persino il più grande Ego si arrende.
Quel lavoro è e sarà avvolto da un’aura di eternità perché ha adempito perfettamente alla sua funzione di opera d’arte, su tutti i livelli.
E con alcuni collaboratori mi è successo. Ci sono state delle esperienze di lavoro bellissime, di scambio molto profondo, che porteremo sempre nel cuore. Alcuni di loro ancora oggi, a distanza di molti anni, me le ricordano e ne sono grati. Da entrambe le parti sappiamo che quella sensazione e manifestazione è il risultato di frequenze che vanno al di là delle nostre volontà o aspettative positive. È pura magia creativa. E di questi momenti anche io sono molto grata. Sono stati la benzina che ha alimentato la voglia di proseguire in tutti questi anni.
Ma, ahimè, capitano raramente.
Abbandonare la gabbia del teatro
Veniamo ai motivi che tutt’oggi, dopo quasi due anni, mi tengono ferma sulla decisione di abbandonare la gabbia del teatro per cercare qualcosa di migliore, che possa rendermi davvero felice.
Per anni ho cercato progetti, investito tempo, denaro e soprattutto energie, per costruire una realtà fondata sul rispetto e l’amore del lavoro da svolgere insieme. Ho scelto e cambiato collaboratori molte volte.
La ferita da abbandono in me è bella grande e ci ho messo diversi anni a curarla davvero…. Questa premessa per dire che la responsabilità di un disequilibrio non è mai da una sola parte.
Ogni volta che un attore veniva meno a quanto profondamente promesso, lo facevo uscire dal progetto. Il mio era un ovvio meccanismo di difesa di quanto costruito con estrema fatica. Mi è capitato più e più volte che gli attori, superato il periodo dell’innamoramento del mio modo di lavorare, del senso di appartenenza al lavoro provato così raramente, del rispetto per la loro creatività e non solo del loro essere attori, si montassero la testa.
Non è un giudizio nei loro confronti. Sono certa si sia trattato di fasi ed esperienze necessarie all’ampliamento delle loro coscienze.
In che senso, dunque, si montavano la testa?
Nel senso che il loro Ego prendeva il sopravvento sull’Amore che stavano provando.
Mi è capitato più volte che, respirando quell’atmosfera così pacifica in prova e, apparentemente naturale, ma in realtà molto ben costruita da una mente alla guida, pensassero: “anche io posso essere un regista, alla fine… che ci vuole… anche io posso fare tutto questo, posso costruire la mia realtà, migliore di questa”. Beh, questa serie di pensieri, talvolta inespressi e talvolta espressi senza filtri, mi facevano crollare il mondo tra le mani. Tutta la pazienza, l’amore, i soldi investiti… sgretolati da una botta dell’Ego. All’inizio rispondevo con una reazione, anche nel mio caso, guidata dalla paura – dunque dall’Ego – e quindi tendente al tirannico (è ciò che insegnano a un regista all’Accademia d’arte drammatica: se ti mancano di rispetto, devi alzare le penne come un pavone). Tendevo quindi a farli uscire fuori dal lavoro, privandoli dell’atmosfera che tanto amavano e che poi non riuscivano a ricreare così facilmente. Perché – finché non ne fai esperienza in prima persona, non lo sai realmente – i problemi, i compromessi e i soldi che un regista indipendente deve gestire e investire sono tantissimi… fare altri lavori per pagare unicamente gli attori che coinvolgi e poi sentirti dire che li stai sottopagando e che, in realtà, meriterebbero di meglio… beh… credo faccia male a chiunque, persino a chi ha un cuore di piombo.
Non rimpiango queste esperienze passate. Penso che siano state tutte delle grandi lezioni di vita che mi hanno portata dove sono ora.
Sto descrivendo solamente i fatti che mi hanno condotta mano nella mano alle decisioni prese oggi.
Nel tempo ho imparato che non puoi costringere le persone ad amarti. Se le vicissitudini conducono alla separazione, probabilmente, significa che doveva andare così per entrambi. Ho lentamente abbandonato le mie reazioni istintive di sopravvivenza guidate dalla paura, per entrare nelle vibrazioni dell’Amore che prevedono anche di essere in grado di lasciar andare chi non vuole rimanere, nel rispetto della sua massima libertà di scelta.
Nel 2019 mi è capitata l’occasione di creare il mio primo importante spettacolo documentaristico sul piano umano – La Beatrice – e ho deciso di ridurre la mia ricerca a un solo attore. Lavorare con un collaboratore soltanto mi ha permesso di sperimentare ancora più a fondo quanto sia importante il legame di affetto e rispetto che si crea in prova e di come questo influenzi profondamente l’opera d’arte e l’impatto con il pubblico.
I collaboratori che ruotavano intorno a Linee Libere continuavano ad apparire e scomparire se non pagati adeguatamente secondo loro aspettativa o riconosciuti e gratificati come speravano. E questo mi ha portata a restringere ancora di più il campo chiedendo gentilmente loro – a differenza della mia irruenza difensiva del passato – “Date le circostanze, te la senti di proseguire insieme o preferisci andar via?” e la maggior parte delle volte la risposta era la seconda.
Poi un giorno qualunque un’idea folle mi attraversò la mente: organizzare un’ISTA diretta da Eugenio Barba. Il progetto mi ha letteralmente dissanguato l’Anima.
Non entrerò nei dettagli, troppo complessi da spiegare in questo articolo. Un giorno lo farò, promesso, gli dedicherò il primo tomo di una serie intitolata: “Se potessi davvero scegliere, non lo rifarei”.
Al momento salto direttamente alla fine.
Dopo questo estenuante progetto nel quale ho imparato che nulla è come appare ai nostri occhi, ho deciso di prendermi una pausa dal teatro.
L’ho fatto in seguito a un laboratorio svolto per le scuole elementari di Bari, esperienza bellissima per noi e per i bambini ma che, come troppo spesso accade, non ci ha garantito neanche una mensilità di affitto, a fronte di un lavoro gigantesco. Questo non è assolutamente dipeso dalla scuola che è stata molto corretta e professionale con noi, ma con la realtà di questo mestiere che non permette agli operatori culturali di vivere della propria professione e li costringe ad affiancare il principale lavoro con tanto altro, specialmente se poi con gli stessi soldi guadagnati devono produrre uno spettacolo. Sembra difficilissimo in Italia trovare delle produzioni davvero interessate a produrre nomi non rinomati sul mercato e che non garantiscano un rientro sicuro all’investimento fatto. (Questo tema è affrontato approfonditamente nell’articolo “Dov’è finita l’anima dell’artista?”)
A volte, quando mi imbatto in esperienze di vita come quella di Matthew Perry, mi rendo conto che quell’idea amorevole di fare arte, mi manca molto.
Ma valutando come funzionino davvero le cose, come questo mestiere sia governato dall’Ego e dal potere e poco dall’Amore e dalla condivisione, ho capito che si tratta della scelta più saggia da fare.
Il giro del mondo senza segnaletica
Credo ancora con tutto il cuore che un’opera d’arte possa essere immortale nella realtà e nelle coscienze degli spettatori, quando essa si allinea davvero a un intento d’Amore collettivo. Ma ho capito anche, a mie spese, che è molto difficile entrare in quello stato di manifesto, in quella vibrazione, perché in qualche modo l’intento deve essere condiviso da tutti i partecipanti per funzionare appieno… e quell’esperienza deve anche coincidere con il tuo prossimo punto del destino. Se così non è, le difficoltà ti mostrano che, al momento, stai percorrendo la strada sbagliata.
Non escludo quindi di tornare all’arte e al teatro in futuro. Sono il mio linguaggio. È l’alfabeto con cui riesco ad esprimermi meglio. Ma a volte occorre abbandonare la patria per fare il giro del mondo, imparare nuove lingue e poi tornare a casa, prima o poi.
Ulisse ci ha insegnato che è possibile. E Penelope ci ha insegnato che l’amore vero non si sciupa neanche dopo infiniti anni di separazione.
Tutto ha un senso.
E al momento preferisco andare a piedi ed esplorare il mondo alla ricerca della felicità che penso sia quello stato preciso di coscienza in cui sei perfettamente allineato a te stesso e il mondo risuona con tutto il tuo Essere, ovunque tu sia e qualsiasi cosa tu stia facendo.